Materie prime critiche in UE: a che punto siamo? (Documentazione Nazionale)

Articolo dell’Osservatorio conti pubblici italiani () sulla situazione delle materie prime critiche (MPC) utili per la transizione ecologica.
A fronte di una domanda prevista in forte espansione, i Paesi dell’UE soffrono mediamente di una scarsa capacità di offerta di MPC. Solo due nazioni europee occupano la prima posizione nella classifica dei principali fornitori mondiali di MPC: la Francia, con (quasi) la metà dell’offerta mondiale di afnio, e la Spagna, che controlla il 31 per cento della produzione complessiva di stronzio. Per il resto la quasi totalità dei Paesi membri dell’Unione non è in grado di produrre volumi considerevoli di MPC.
Il combinato disposto di una capacità di offerta (attuale e futura) limitata e di una domanda elevata e crescente di MPC spinge naturalmente l’UE verso una condizione di quasi-dipendenza da Paesi extra-UE soddisfatta attraverso un continuo flusso di importazioni (Fig. 1). Un fenomeno che può scatenare criticità nel momento in cui la fornitura di una MPC risulta estremamente concentrata in uno o pochi Stati-nazione, specie se retti da regimi politici instabili o illiberali.
È il caso della Cina, che rappresenta il Paese portatore del più elevato rischio di approvvigionamento per l’UE. Secondo uno studio della Commissione europea, nel periodo 2016-2020 la Cina ha soddisfatto la domanda interna UE di terre rare pesanti per il 100 per cento, di magnesio per il 97 per cento, di terre rare leggere per l’85 per cento e di gallio per il 71 per cento. Altri Paesi forieri per l’UE di un elevato rischio di fornitura – che condividono con la Cina lo status di regime politico instabile o illiberale – sono la Turchia (99 per cento del borato e 63 per cento dell’antimonio), il Kazakistan (71 per cento del fosforo), la Repubblica Democratica del Congo (63 per cento del cobalto) e la Guinea (63 per cento della bauxite). In termini generali (Fig. 2) la stragrande maggioranza delle importazioni UE di MPC (23 categorie merceologiche su 34) proviene da Paesi non OCSE considerati generalmente meno affidabili e stabili da un punto di vista economico e geopolitico.
La Commissione UE, anche sulla base di uno studio apposito (), ha presentato una proposta di Regolamento () mentre l’Italia recentemente ha introdotto una normativa () che regolamenta le esportazioni delle stesse anche se contenute in rottami ferrosi o rifiuti elettronici.

Secondo l’articolo dell’Osservatorio conti pubblici italiani, una prima valutazione dello stato dell’arte sul tema delle MPC in UE non conduce a risultati particolarmente lusinghieri, soprattutto quando si confronta il caso europeo con quello degli Stati Uniti.
Con l’Inflation Reduction Act l’amministrazione Biden ha definito una chiara strategia basata sull’erogazione di sussidi e incentivi[8] per promuovere la generazione e l’adozione di tecnologie al fine di accelerare la transizione ecologica e per contenere i rischi per la sicurezza nazionale determinati da una condizione di dipendenza dall’estero anche nel campo delle MPC.
La Commissione europea, con la definizione del Critical Raw Materials Act, ha semplicemente fornito alcune linee guida e parametri di riferimento (10-40-15-65 per cento), che tuttavia appaiono di scarsa utilità pratica. Sebbene a tutt’oggi non ci siano dati ufficiali sulla situazione a livello europeo,[9] è lecito pensare che questi parametri siano difficilmente raggiungibili, considerando la scadenza imminente al 2030 e la condizione di scarsità di MPC all’interno dell’UE.[10]
Come uscire da questa sorta di impasse? Una prima possibilità è rappresentata dalla costituzione di una centrale d’acquisto delle MPC a livello UE (sulla falsariga di quanto già sperimentato nel caso dei vaccini e del GNL). In tal modo si sfrutterebbero i vantaggi derivanti dal potere di mercato di un acquirente avente la dimensione dell’UE e si faciliterebbe il conseguimento di obiettivi comunitari di sicurezza energetica.[11] Una possibile alternativa è costituita dalla sottoscrizione di partnership strategiche tra UE e Paesi extra-UE con l’obiettivo di creare legami più duraturi e affidabili, che potrebbero essere rinsaldati dal supporto tecnico-finanziario fornito dall’UE per realizzare investimenti in capacità produttiva utile a completare fasi di raffinazione/trattamento delle MPC prodotte in loco.
È plausibile che la soluzione possa provenire – secondo una logica di tipo bottom-up – dalle azioni intraprese dai singoli Stati membri dell’UE? Analizzando il caso italiano, non si direbbe. Per quanto riguarda il tavolo tecnico interministeriale, solo le formalità sembrano essere state rispettate. Dal punto di vista sostanziale vi sono evidenti difficoltà nella messa in moto del meccanismo operativo[12]. Anche considerando altre iniziative realizzate in ambiti affini – come la Strategia nazionale per l’economia circolare (che propone risparmi di materiali nell’elettronica, imballaggi, plastica, tessuti, edilizia, alimenti e nutrienti) e il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (che definisce le linee guida per la gestione dei rifiuti a livello regionale per il corretto smaltimento e riciclo) – emerge come poco o nulla sia stato in corso di attuazione con riferimento alle MPC.
In definitiva, la permanenza di una condizione di dipendenza dell’UE da Paesi extra-UE (politicamente instabili o illiberali) che controllano la disponibilità di MPC rimane uno scenario assai probabile. Sembra quindi seriamente a rischio il proposito di coniugare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale con quelli della sicurezza energetica.

TESTO ARTICOLO OSSERVATORIO CONTI PUBBLICI ITALIANI:

https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-materie-prime-critiche-in-ue-a-che-punto-siamo?mc_cid=cb359f2742&mc_eid=e13722b1fd

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